Scheda del Concerto per pianoforte in la minore e intervista ad Anastasia Stovbyr

di Gianmarco Moneti

Nell’opera compositiva di Robert Schumann (1810-1856) il pianoforte ha avuto un ruolo di prim’ordine, basti pensare a capolavori come Carnaval, Kreisleriana o i difficilissimi Studi Sinfonici. Schumann ha pensato il pianoforte in ogni sua possibile dimensione per esprimere tutte quelle sfumature ‘specchio del suo sentire’, in bilico tra magico e malato. Interessanti, al fine di descrivere il suo mondo, sono le opere dove il pianoforte interagisce con gli altri strumenti fondendosi con i timbri diversi ed essendo di nuova pasta sonora: il lavoro di questa sua arte per eccellenza è il Concerto per pianoforte e orchestra in la minore. Egli stesso, parlando di questa composizione alla moglie Clara, lo identificò come un qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e sonata e, una volta visto il lavoro di Mendelssohn (Concerto Op. 40), potete capire cosa sarebbe diventato il modello del concerto per pianoforte e orchestra, finalmente nuovo rispetto a quelli della tradizione precedente. Il primo movimento (Allegro affettuoso) è il dipinto dei due volti dell’anima Schumann, lo sguardo infuocato di Florestano con la ‘strappata’ di tutta l’orchestra e i ritmi puntati pungenti a fianco del pensieroso Eusebio, con i canti sommessi, le lunghe e languide frasi. Segue la riflessione di tutto ciò che è stato con l’intimo Intermezzo (Andantino grazioso) dove il monologo pianistico si alterna a stupendi dialoghi con l’orchestra, come il meraviglioso canto sussurrato dai violoncelli che sprofonda poi nuovamente nella quieta e bucolica tonalità di fa maggiore. La conclusione del concerto invece sembra mettere da parte le atmosfere dolci dell’intermezzo per lasciare nuovamente spazio a un carattere più spigliato che ricorda l’immediato inizio del concerto, adesso slanciato verso una coda virtuosistica tutta di fattura pianistica, assecondata dalla ritmica ed energica orchestra.

 

Da novembre incomincia la stagione invernale, insieme ai primi freddi, le giornate sprofondano nell’oscurità fin troppo presto e le nostalgiche luci estive e autunnali diventano un ricordo lontano. Tuttavia ripartono i motori del caro Conservatorio che, con il suo via vai di musicisti, note che risuonano nell’androne, risate e schiamazzi, ci fanno desiderare e apprezzare questo novembre apparentemente grigio. Tra le corse per non arrivare in ritardo alle lezioni troviamo anche il tempo di gustare un bel caffè caldo, magari in compagnia, e tra scherzi e battute, una bella ‘chiacchierata musicale’ è sempre gradita.

Il protagonista della mia chiacchierata è Robert Schumann con il suo Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 e l’intervistata con cui ne discuto è la giovane pianista ucraina Anastasia Stovbyr – classe di pianoforte di Giacomo Fuga – protagonista a sua volta del concerto inaugurale di Santa Cecilia.

D. Anastasia quando e perché ti sei trasferita in Italia e come mai hai scelto proprio Torino?

R. Mi sono trasferita a Torino l’anno scorso ma in realtà venni già circa cinque anni fa per partecipare a un concorso pianistico. Una volta finito il mio percorso di studi al Conservatorio di Kiev dovevo scegliere quale sarebbe stato il mio passo successivo e fu in quel momento che una mia carissima amica, che si era trasferita in Italia, mi consigliò di raggiungerla perché qua ci sono più possibilità di lavorare nel campo musicale. La scelta di Torino è legata alla sua grandezza, la sua vivacità e forte cultura musicale, le stesse caratteristiche che mi avevano colpito cinque anni fa: sono felice della mia decisione poiché il ricordo che avevo non mi ha assolutamente tradita. In questa città ho avuto modo anche di ascoltare i più grandi interpreti della scena musicale mondiale, una fortuna non da poco.

D. Appena trasferita e subito vinci l’audizione per suonare con l’orchestra del conservatorio: avevi già avuto esperienze con l’orchestra e con il concerto di Schumann?

R. Sì, sono contenta e grata di aver avuto questa bellissima opportunità e non vedo l’ora di suonare con la compagine orchestrale. Nel mio paese avevo già avuto esperienze con l’orchestra: nella mia città, Poltava, a Kiev e anche in Polonia (all’interno di un festival per giovani che consiglio vivamente) eseguendo il Quinto concerto ‘Imperatore’ di Beethoven, il Primo concerto di Prokofiev e il Concerto in sol maggiore di Ravel. La prima volta di Schumann invece sarà proprio qui a Torino! Fu la mia insegnante di Kiev, Mariia Pukhlianko, che mi permise di coltivare in maniera professionale e decisiva il rapporto con l’orchestra. Ovviamente ricordo anche la mia prima insegnante, Liudmila Bubnova, che è stata illuminante per il mio rapporto con la musica: essere nella sua classe era proprio come sentirsi in una grande famiglia.

D. Giacché hai citato le tue insegnanti e il tuo vecchio conservatorio, quali sono le differenze tra la scuola ucraina e la scuola italiana?

R. Credo che l’aspetto che forse mi ha più impressionata, essendo anche assistente della professoressa Marina Scalafiotti e seguendo i suoi allievi, sia vedere la vostra cultura dello strumento, del suo repertorio e delle sue interpretazioni: ogni volta che vedo i programmi che fanno i miei compagni, rimango sempre piacevolmente sorpresa! Credo che questo sia permesso dalla grande libertà che è lasciata agli studenti, nel senso che, sì, c’è l’insegnante che segue con cautela l’allievo, ma si spinge lo studente a fare un viaggio personale che lo identifichi nel suo mondo musicale. Anche in Ucraina è così, sebbene le scuole pianistiche dell’est Europa siano viste molto severe: forse siamo seguiti in maniera più intensiva durante la fase di studio. Consiglio a tutti i miei compagni l’esperienza di studio a Kiev, è un mondo e un modo diverso che va conosciuto.

D. Adesso parliamo di Schumann, come mai hai scelto questo concerto e qual è il tuo legame con l’autore?

R. È senza dubbio uno dei miei concerti preferiti ed è il primo concerto romantico che ho studiato; Schumann è un autore che amo, ho suonato molto della sua opera per pianoforte solo e da camera, quindi la scelta è stata facile. Molti lo trovano un concerto ‘semplice’, ottimo per iniziare lo studio del repertorio per pianoforte e orchestra ma credo sia sottovalutato poiché la scrittura è ricca di dialoghi e intrisa di quel pianismo schumanniano mai semplice nella pratica. Rispetto ad altri concerti, infatti, questo è uno dei più densi, sembra di affrontare una composizione da camera, ma, invece di essere un quartetto o un quintetto, si è una cinquantina e per mantenere il dialogo vivo e con lo stesso carattere è richiesta una grandissima energia giostrata da una grande responsabilità; se non hai forza, l’orchestra non riuscirà a seguirti e risponderti come vorresti. Nel primo movimento il tema passa dal clarinetto, al flauto, al pianoforte, all’oboe senza mai interrompersi e nel secondo movimento ancora il dialogo è onnipresente con gli archi e di nuovo con i fiati. Devi essere più ricca e più chiara possibile, una difficoltà da non ignorare!

D. Quali sono le parti più complesse e le più amate del concerto per te? E le interpretazioni preferite?

R. Forse le parti più ostiche sono nel terzo movimento, ma sono comunque tra le pagine per me più interessanti: ci sono delle frasi dove il ritmo è veramente protagonista con delle sfumature quasi moderne, mi ricordano, infatti, anche lo swing! La parte più dolce invece è l’andante cantabile che si trova nel primo movimento, un’atmosfera sognante in uno dei momenti più cameristici dell’intero concerto. Tra le mie interpretazioni preferite ci sono la velocissima Martha Argerich con un terzo tempo intenso e vivo, e la magnifica ed energica Eliso Virsaladze.

D. Avessi davanti a te una platea di pianisti, a chi consiglieresti lo studio di questo concerto?

R. Non fraintendermi, ma credo che questo sia un concerto che si addica particolarmente a una musicista. Richiede un suono caldo, trasporto ma anche moltissima organizzazione, una caratteristica che è propria di noi donne. Non a caso il concerto che Schumann ha scritto fu eseguito dalla moglie Clara Wieck e credo che questo sia un aspetto cruciale poiché Robert non avrebbe mai potuto suonarlo, e da romantica quale sono, mi piace pensare che abbia scritto quest’opera ispirandosi a lei e al suo temperamento: il temperamento di una donna!

 

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