Scheda della Quinta Sinfonia e articolo “Una quinta interiore”

di Sara Maraston, Camilla Maina e Rossella Tucci

 

Il 22 novembre, in occasione di Santa Cecilia, l’Orchestra del Conservatorio affronterà la Sinfonia n.5 di Shostakovich (1906-1975).

 

Ma come mai, tra il vasto repertorio di questo compositore, il nostro Conservatorio ha scelto di eseguire proprio questa sinfonia?

 

La Sinfonia n. 5 Op. 47 è una delle composizioni più conosciute e apprezzate di Shostakovich e inoltre il 21 novembre, il giorno prima del concerto, si celebreranno gli ottant’anni di quest’opera; infatti, fu eseguita per la prima volta il 21 novembre del 1937 dall’Orchestra Filarmonica di Leningrado, diretta da Evgenij Mravinskij.

Shostakovich compose la quinta sinfonia durante un periodo tormentato e sofferente della sua vita, poiché nel 1936 la rappresentazione dell’opera “Lady Macbeth del Distretto di Mcensk”, nonostante il successo di pubblico ottenuto, fu stroncata e attaccata dalla Pravda, il quotidiano ufficiale del regime sovietico.

Il compositore era così preoccupato che decise di ritirare la quarta sinfonia, sebbene l’avesse ormai completata.

Quindi, è proprio con l’intento di riabilitarsi di fronte allo Stato che Shostakovich compose la quinta sinfonia. In seguito, con un articolo pubblicato sulla Večernjaja Moskva il 25 gennaio 1938, spiegò il contenuto ideologico dell’opera che ha per tema la realizzazione dell’uomo, con tutte le sue esperienze e le sue emozioni.

 

La Sinfonia n. 5 è articolata in quattro movimenti: Moderato, Allegretto, Largo e Allegro non troppo. E’ interessante prestare attenzione all’ultimo movimento in particolare, perché riguardo a questo Shostakovich scrisse sulla Večernjaja Moskva: “Questo finale dà una risposta ottimista ai momenti tragici che troviamo nei precedenti tempi della sinfonia“; in privato però confidò all’amico Volkov che la gioia era forzata, tutta frutto di costruzione. Infatti, l’ottimismo è mostrato in modo così plateale, proprio per renderlo grottesco e innaturale.

Quindi sarebbe un errore considerare quest’opera un prodotto allineato ai dettami della musica sovietica, ma anzi, bisognerebbe essere coscienti di come Shostakovich abbia probabilmente cercato di far trapelare un messaggio di protesta, pur senza esporsi direttamente.

 

Una quinta interiore

Fin dal primo annuncio, durante le prove della produzione primaverile Gershwin-Williams, di leggio in leggio il nome della Quinta si diffondeva attraverso sussurri carichi di stupore e meraviglia. Presto la notizia riguardante la sinfonia divenne protagonista dei nostri pomeriggi musicali, quelli in cui, tra una pausa dallo studio e l’altra, chiacchierando, si finiva ad ascoltarne gli estratti. Inevitabile e naturale fu chiedersi come sarebbe stato dar vita ad un tale capolavoro con le nostre mani.
Al ritorno dell’estate, fermento ed eccitazione animavano i corridoi del conservatorio, tutti erano in attesa delle convocazioni, palpitanti: ognuno di noi attendeva impaziente di scoprire chi sarebbero stati i cavalieri eletti per esibire le proprie gesta. Non giudichiamo esagerato definire “gesta” le abilità richieste da questa sinfonia e sicuramente sarebbero d’accordo con noi in molti tra l’ “eroica” fila dei primi violini (e non solo).
Volevamo esserci tutti, suonarla insieme, viverla insieme. Il nostro desiderio di partecipazione aveva aggiunto connotati mitici alla sinfonia, ancor prima di renderci conto quanta mitologia fosse già custodita in essa.
E, un giorno di fine settembre, la tanto bramata mail di convocazione arrivò. Increduli ed elettrizzati, constatammo di essere presenti nella lunghissima lista di nomi. Così, dopo una lunga attesa, vedemmo realizzarsi il nostro desiderio, come se qualcuno ci avesse uditi esprimerlo.
Giunse il tempo del primo approccio con la partitura: fu un incontro tutt’altro che semplice. Si trattava infatti di un affascinante manoscritto dall’ incerta scrittura che, costellato di cancellature e correzioni, emanava il fascino di una partitura viva, ancora in fase di elaborazione. Note ‘impiccatissime’, intervalli in grado di mettere a dura prova anche la più solida intonazione, estensioni da concerto solistico e tempi funambolici.
Non per niente, infatti, per la prima volta nella storia del corso d’orchestra, la famosa mail conteneva, allegate al programma delle prove, le fittissime pagine della sinfonia. A giustificare tale evento, concludeva il messaggio di posta elettronica un distinto avvertimento del Maestro Ratti ad immergersi nello studio prima dell’inizio delle prove, sebbene solitamente sia fautore della prima vista. Si prospettavano due mesi lunghi ed impegnativi per noi orchestrali.

Ottobre. Iniziano ufficialmente le prove (e i soliti ritardi!).
Sorrisi, smorfie e sguardi parlanti non sfuggono al Direttore, il quale, da buon ‘comandante’, tiene tese le redini cercando di placare qualsiasi sviamento o cedimento, sia tecnico, per l’imbarazzante difficoltà , che emotivo, causato dalle armonie penetranti e dai nostri giovani animi, fragili e instabili che s’incendiano facilmente di fronte ad un fuoco di tale maestosità.
Ogni movimento ha un proprio universo, ogni strumento evoca un ruolo ed un personaggio col proprio suono.

Un tragico annuncio, che ha per primi ambasciatori i violoncelli, seguiti ed imitati poi dal resto degli archi, apre la sinfonia: un tetro presagio si consuma nel tempo fino ad implodere al suo apice in un secondo tema ben disteso e riflessivo. Su un cielo coperto da nubi oscure compaiono spiragli di luce che squarciano il buio e la nebbia. Arricchisce il cupo paesaggio il potente canto delle viole, che ha tutto un altro sapore: è la voce  maligna di un regime censurante e soffocante. Irrompe poi la decisa marcia del pianoforte che invita alla lotta il resto dell’orchestra. Una voragine si apre nel centro della terra: alcuni precipitano, altri raggiungono la superficie, dove vi sono calma e tranquillità. Il flauto, serafico, intona con i violini un canto disperato, emblema della vita strappata alla morte. La celesta e l’arpa chiudono questo angosciante primo tempo, elegiache, come dando voce al destino.

L’Allegretto, più brillante e giocoso, si apre nuovamente con i violoncelli ma questa volta su una piazza gremita di gente, in cui un clarinetto giullaresco richiama l’attenzione del popolo. È tutto un gran vociare, almeno finché il primo violino intona la danza ammiccante di una seducente ballerina zingara vestita di stracci, il cui ballo è imitato da un bimbo, il flauto, che le si avvicina con fare curioso. Risuonano quindi  le voci grosse del popolo: sono i tromboni, al suono dei quali la massa fugge frettolosa all’arrivo della polizia. Solo un ‘ubriaco’ oboe rimane, barcollante nella piazza.

Il Largo: una desolata ‘quiete dopo la tempesta’, un’intima meditazione dell’anima che, riflessa nello specchio, si scruta nelle sue profondità, si spoglia degli stracci per rivestirsi di nuovi e migliori abiti. Ogni frase emana la silenziosa disperazione di chi, specchiandosi, vede nel proprio riflesso qualcosa di sconosciuto ed estraniante. È una preghiera, impreziosita da un insito senso del sovrannaturale.
Il canto inconsolabile dell’orchestra si chiude con il meraviglioso intervento dell’arpa: si scorge una nuova, tenue luce di speranza, che crescerà e raggiungerà il sul apice nel feroce tempo successivo.

La furia epica del quarto movimento (Allegro non troppo) con irruenza conquista lo spazio sonoro: è l’ira funesta di un animo guerriero che, attraverso un piano premeditato, sfocia in un’ inesorabile corsa verso il traguardo. Tutta l’orchestra si impegna a lottare per l’obbiettivo comune e finalmente trova il proprio spazio in questa furia un re maggiore, estasiato per l’ eroica vittoria.

Così è come l’abbiamo vissuta, queste sono le emozioni di cui Shostakovich ci ha fatto dono con la sua formidabile arte, queste sono le nostre percezioni, acquisite di esecuzione in esecuzione.  Adesso, dopo due mesi di impegno e fatica, è giunto il momento del confronto con il pubblico: a voi la parola. Immergetevi nell’ascolto, ad occhi chiusi immaginate e proiettate nella vostra mente la storia custodita nelle sue note. Emozionatevi e siate i compositori della vostra quinta interiore.

 

Dentro l’orchestra, le parole di chi l’ha vissuta:

Mistico, inquietante, ermetico, rivoluzione, burla, passione, strong, coinvolgente, sguardi, troppe note, potenza, brividi, fatica, estasiato, stonata, carri armati, suono volgare, contesa, urla, preghiere, speranze, ambiguità del linguaggio, “non al Bolshoi”, intensità , personificazione del suono, qualcosa di pazzesco.

 

 

 

 

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