a cura di Claudio Mantovani

Natale è epoca di sospensione dalle attività scolastiche frontali, benché ogni allievo di Conservatorio sappia che è anche periodo di compensazione nei confronti delle magagne emerse in meno di due mesi dall’inizio dell’anno accademico: dunque riposo, svago e lavoro…
Quanto segue, tratto da appunti di un dialogo con Don Giussani Milano Studenti 5 giugno 1964, indipendentemente dalle convinzioni religiose di ognuno (quando e se ci sono), è un invito a una riflessione sul concetto di tempo libero: la gratuità, la purità del rapporto umano.
Buone feste, buon tempo libero.


“ Dai primissimi giorni di Gioventù Studentesca abbiamo avuto un concetto chiaro e semplice:
tempo libero è il tempo in cui uno non è obbligato a fare niente, non c’è qualcosa
che si è obbligati a fare, il tempo libero è tempo libero.
Siccome discutevamo spesso coi genitori e coi professori sul fatto che Gs occupava troppo
il tempo libero dei ragazzi, mentre i ragazzi avrebbero dovuto studiare o lavorare in cucina,
in casa, io dicevo: «Avranno ben il tempo libero, i ragazzi!». «Ma un giovane, una persona
adulta», mi si obiettava, «lo si giudica dal lavoro, dalla serietà del lavoro, dalla tenacia
e dalla fedeltà al lavoro». «No», rispondevo, «macché! Un ragazzo si giudica da come
usa il tempo libero». Oh, si scandalizzavano tutti. E invece… se è tempo libero, significa che
uno è libero di fare quello che vuole. Perciò quello che uno vuole lo si capisce da come utilizza
il suo tempo libero.
Quello che una persona – giovane o adulto – veramente vuole lo capisco non dal
lavoro, dallo studio, cioè da ciò che è obbligato a fare, dalle convenienze o dalle necessità
sociali, ma da come usa il suo tempo libero. Se un ragazzo o una persona matura disperde
il tempo libero, non ama la vita: è sciocco. La vacanza, infatti, è il classico tempo in cui
quasi tutti diventano sciocchi. Al contrario, la vacanza è il tempo più nobile dell’anno, perché
è il momento in cui uno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella
sua vita oppure non si impegna affatto con niente e allora, appunto, è sciocco.
La risposta che davamo a genitori e insegnanti più di quarant’anni fa ha una profondità
a cui essi non erano mai giunti: il valore più grande dell’uomo, la virtù, il coraggio, l’energia
dell’uomo, il ciò per cui vale la pena vivere, sta nella gratuità, nella capacità della gratuità.
E la gratuità è proprio nel tempo libero che emerge e si afferma in modo stupefacente.
Il modo della preghiera, la fedeltà alla preghiera, la verità dei rapporti, la dedizione di sé, il
gusto delle cose, la modestia nell’usare della realtà, la commozione e la compassione verso
le cose, tutto questo lo si vede molto più in vacanza che durante l’anno. In vacanza uno
è libero e, se è libero, fa quello che vuole.
Questo vuol dire che la vacanza è una cosa importante. Innanzitutto ciò implica
attenzione nella scelta della compagnia e del luogo, ma soprattutto c’entra con il modo in
cui si vive: se la vacanza non ti fa mai ricordare quello che vorresti ricordare di più, se non
ti rende più buono verso gli altri, ma ti rende più istintivo, se non ti fa imparare a guardare
la natura con intenzione profonda, se non ti fa compiere un sacrificio con gioia, il tempo
del riposo non ottiene il suo scopo. La vacanza deve essere la più libera possibile. Il criterio
delle ferie è quello di respirare, possibilmente a pieni polmoni.
Da questo punto di vista, fissare come principio a priori che un gruppo debba fare la vacanza
insieme è innanzitutto contrario a quanto detto, perché i più deboli della compagnia,
per esempio, possono non osare dire di no. In secondo luogo è contro il principio missionario:
l’andare in vacanza insieme deve rispondere a questo criterio. Comunque, innanzitutto,
libertà sopra ogni cosa. Libertà di fare ciò che si vuole… secondo l’ideale! Che cosa
ne viene in tasca, a vivere così? La gratuità, la purità del rapporto umano.
In tutto questo l’ultima cosa di cui ci si può accusare è di invitare ad una vita triste
o di costringere ad una vita pesante: sarebbe il segno che proprio chi obietta è triste, pesante
e macilento. Dove macilento indica chi non mangia e non beve, perciò chi non gode
della vita. E dire che Gesù ha identificato lo strumento, il nesso supremo tra l’uomo che
cammina sulla terra e il Dio vivente, l’Infinito, il Mistero infinito, col mangiare e col bere:
l’Eucarestia è mangiare e bere – anche se adesso tanto spesso è ridotta a uno schematismo
di cui non si capisce più il significato -. È un mangiare e un bere: agape è un mangiare
e bere. L’espressione più grande del rapporto tra me e questa presenza che è Dio
fatto uomo in te, o Cristo, è mangiare e bere con te. Dove tu ti identifichi con quel che
mangi e bevi, così che, «pur vivendo nella carne io vivo nella fede del Figlio di Dio» (“fede”
vuol dire riconoscere una Presenza)”.

(Monsignor Luigi Giovanni Giussani, Desio 1922-Milano 2005; presbitero, teologo, insegnante e fondatore di Comunione e Liberazione).

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