di Lorenzo Nguyen

Assistere ad un concerto diretto dal Maestro Muti con l’Orchestra Giovanile Cherubini, da lui fondata nel 2004, è sempre, che si sia aspiranti musicisti o curiosi spettatori, un’occasione di apprendimento e crescita personale. Un privilegio più grande ancora è aver la possibilità di prender parte ad un corso intensivo di due settimane con Muti in persona, la Cherubini e diversi cantanti di fama internazionale per la produzione del Macbeth di Verdi e la sua successiva esecuzione in concerto. Ascoltare le indicazioni del Maestro, respirare l’autenticità dei giovani orchestrali e vivere l’opera di Verdi nel prestigioso Teatro “Alighieri” di Ravenna è la proposta della Riccardo Muti Italian Opera Academy riservata ai meritevoli musicisti selezionati come allievi di Direzione d’orchestra o come Maestri Collaboratori. Tra quelli scelti quest’anno c’è Alessandro Boeri, studente del nostro Conservatorio da poco laureatosi col massimo dei voti e lode.
Abbiamo voluto intervistarlo per farci raccontare la sua esperienza.

Alessandro, come è nata l’idea di candidarti per un ruolo di Maestro Collaboratore ad una manifestazione così importante come la Riccardo Muti Italian Opera Academy?

Da sempre sono affascinato dal Maestro Muti, dal suo modo di lavorare di cui ho avuto qualche assaggio da alcuni DVD delle sue prove la Cherubini e dalle poche volte che ho avuto l’occasione di assistere a concerti da lui diretti.
Dalla nascita dell’Italian Opera Academy è stato sempre un mio grande desiderio potervi prendere parte. Certo, il sogno sarebbe quello di parteciparvi come allievo direttore, ma mi mancano ancora due anni per conseguire il diploma in questa disciplina. Mi ripromisi comunque che, appena diplomato in pianoforte, avrei provato ad entrare come pianista. Poco meno di un anno fa, quasi per caso, pensai che il 2018 sarebbe stato il primo anno utile per presentare la domanda come allievo effettivo Maestro Collaboratore, dato che avrei concluso il triennio neanche un mese prima dell’eventuale audizione finale.
Incominciai quindi a studiare il Macbeth, l’opera scelta per la quarta edizione (dopo Falstaff, Traviata e Aida), con l’aiuto del M° Maggiolino e del M° Guida, e mandai i video richiesti per la prima scrematura. Continuai (scettico) a studiare l’opera, che divenne la mia preferita, per la sua modernità nel trattare il canto e la sua visionarietà, finché a maggio non arrivò l’e-mail tanto attesa, che mi comunicava giorno e ora dell’audizione finale per gli otto candidati selezionati, con il Maestro Muti.

Qual è stata la prima impressione avuta dall’incontro col Maestro Muti? Rispondeva alle tue aspettative?

L’incontro con il Maestro è stato sorprendente, fin dall’audizione, in cui già dava consigli e suggerimenti, senza limitarsi ad ascoltarci passivamente. In un certo senso posso dire che ha rispecchiato le mie aspettative, ma all’ennesima potenza.

Ti ha sorpreso qualcosa di lui?

Mi hanno sorpreso alcuni aspetti della sua persona, in primis la sua umiltà.
Egli ha poi un senso dell’humor estremamente marcato, con la battuta pronta a far ridere tutto il teatro, a stemperare le lunghe giornate di lavoro. Viceversa, un altro aspetto che colpisce di lui è la meticolosità e l’instancabilità che lo contraddistinguono. Un giorno si è arrivati a lavorare e discutere per mezz’ora su una sola pagina di recitativo: come dice sempre lui, la ricerca non è mai finita, c’è sempre da scavare e approfondire, trovare nuovi aspetti. Dopo cinquant’anni passati a dirigere Verdi non si stanca mai e non perde la giovanile freschezza della scoperta, che gli fa dichiarare con stupore: “ragazzi, che genio è Verdi in questo punto!!?”
Un’altra occasione di meraviglia è stata il vedere il Maestro, avvertito della presenza fra il pubblico di bambini e ragazzi delle medie, sedersi in mezzo a loro e spiegare, circondato dai loro volti pieni di stupore, il Macbeth, quasi come fosse una favola, e con l’evidente intenzione di lasciare un messaggio ai giovanissimi e non solo ai giovani, e di ritrovare un contatto con loro.

La manifestazione è durata parecchi giorni. C’era tanto lavoro da fare?

L’Accademia è durata due settimane, in cui abbiamo avuto un paio di giorni liberi verso la fine, per dare modo ai cantanti di non affaticarsi in vista dei due concerti finali e della trasferta a Norcia. Tutti gli altri giorni l’impegno era totale, suddiviso in prove di sala al pianoforte con i cantanti, in cui noi eravamo impegnati in prima persona a fianco del Maestro, che ci insegnava anche a dare indicazioni ai cantanti e a gestire autonomamente la prova, e prove con l’orchestra per gli allievi direttori. Ma capitava spesso che provassimo noi pianisti in separata sede con alcuni cantanti, magari durante la pausa pranzo… e nei pochi momenti liberi, per esempio al mattino prima dell’inizio delle prove o nei giorni di riposo, potevamo rimanere in teatro a studiare. La giornata era sempre piena, insomma.

Sotto quali aspetti musicali sei stato più stimolato nel corso degli incontri con il Maestro?

Per elencare tutti gli aspetti musicali su cui egli insiste spesso e che mi hanno colpito -molti dei quali sono suoi “cavalli di battaglia”- servirebbero pagine e pagine. Per citarne alcuni dei più rilevanti, come non rimanere colpiti dal suo modo di trattare gli “accompagnamenti”? Verdi è sempre soprannominato, soprattutto oltralpe (per usare una formula cara al Maestro…) come il compositore dello zum-pa-pa. Ma Verdi stesso chiamava l’accompagnamento abbellimento della melodia. Se infatti eseguito male, inerte, senza intensità, risulta noioso e privo di significato, e la melodia che lo sovrasta perde vita, muore in qualche modo. Ma se gli archi iniziano a vibrare all’unisono, con un vibrato che venga, come ha detto una volta il Maestro, non dalla testa, neanche dal cuore, ma dalla pancia, dalle nostre più intense profondità, ecco che tutto assume un’altra luce e prende vita. Per il Maestro infatti, ogni singola nota deve essere eseguita con la massima intensità, con carattere, e cantata. Anche un semplice basso armonico, pena il crollo di tutto il castello che esso regge.
A tal proposito, un giorno il Maestro ha fermato un allievo direttore per redarguire l’orchestra, che a suo dire non aveva un bel suono: “c’è qualcuno che non vibra!”, oppure, “non producete mai un suono a caso, tanto perché dovete farlo. Ogni suono va pensato, nasce prima dalla testa, non dalle mani”. Possono sembrare banali ovvietà, ma spesso ce ne dimentichiamo.

Visto che sei anche un direttore, cosa ti ha colpito del suo approccio?

Ci sono diversi aspetti tecnico-direttoriali che mi hanno particolarmente sorpreso, come un suo particolare gesto “alla Toscanini” che un giorno ha spiegato nei dettagli, di suddivisione circolare di un tempo ternario, non in tutti i casi, naturalmente. Oppure ho trovato interessante che battesse alcuni brani, che funzionerebbero benissimo battuti in due, in quattro, per evitare che mancassero del coinvolgimento e dell’intensità vitale necessaria, che a suo dire il direttore deve fornire in prima persona e non semplicemente demandare all’orchestra.

Com’è stato lavorare con una compagine di prim’ordine quale la Cherubini e con cantanti di fama internazionale?

L’orchestra Cherubini è un’orchestra di prim’ordine, una delle migliori in Italia. Certo, il sogno è quello di avere l’onore di poterla un giorno dirigere, ma già averla conosciuta in queste due settimane è stato fantastico. Sono ragazzi pieni di energia, musicisti eccezionali, che rispondono in maniera repentina al gesto del loro Maestro a cui sono molto affezionati.
Il cast dei solisti era eccezionale; alcuni di loro li avevo già ascoltati dal vivo negli anni scorsi, e mai avrei pensato che un giorno avrei collaborato con loro nell’Italian Opera Academy!

Il ricordo più bello e le difficoltà incontrate?

Un bel ricordo è stato il festeggiamento a sorpresa, il 28 Luglio, del settantasettesimo compleanno del Maestro, allietato dalla musica di orchestra e coro (che hanno ricevuto i suoi calorosi complimenti per la qualità del loro legato anche nel tema di Happy Birthday: a qualcosa sarà servita la sua insistenza sul legato!)
Entusiasmante in modo particolare è stata la prova di sala con il coro. Non avevo mai avuto l’occasione di accompagnare un coro, e poter iniziare con un coro di gran livello come il Costanzo Porta di Cremona e sotto la direzione del Maestro è stato particolarmente emozionante!
Ovviamente una grande emozione è stata ricevere da Muti l’attestato di frequenza al termine del concerto finale.
La difficoltà principale, per me e per i miei colleghi pianisti, era quella di mantenere l’attenzione e la concentrazione per tutto il giorno, anche quando non eravamo impegnati in prima persona. Dovevamo essere sempre “sul pezzo”, vietato sgarrare o distrarsi.
Ma l’impegno che il Maestro pretende dagli altri, egli lo esige sempre e allo stesso modo da se stesso. Forse è anche per questo che, fin dall’inizio della carriera, il rispetto che si è guadagnato è pressoché totale.

A due settimane dal termine dell’Italian Opera Academy, qual è il bilancio e quali gli insegnamenti più preziosi che porterai con te in futuro?

Durante le due settimane dell’Accademia ho imparato tantissimo. Soprattutto sotto l’aspetto del lavoro con i cantanti. È stato fantastico toccare con mano il lavoro del Maestro, su ogni parola e sull’interpretazione di ogni frase musicale, il rapporto musica-parola e l’importanza di quest’ultima (“servire prima il poeta e poi il maestro”, diceva Verdi). Cercherò di portare con me e fare mio il suo approccio all’opera, la quale da alcuni decenni (soprattutto l’opera italiana…) è diventata quasi un circo, in cui si aspetta l’acuto finale del cantante, che non è mai scritto -pensiamo al “do di petto” di Di quella pira, o innumerevoli altri casi-, e in base a quello si giudica tutto, e non si bada a nient’altro, a ciò che invece è veramente importante. Un giorno dell’Accademia, durante le quotidiane invettive del Maestro contro le regie moderne, o il modo di fare opera nei teatri tedeschi, ha affermato: “Ma chi se ne frega dell’acuto!!!”. Ha perfettamente ragione. Ci ha sempre sollecitato a combattere in futuro, e a portare avanti le sue battaglie. Noi ce la metteremo tutta.

Quali sono i tuoi progetti a breve e lungo termine?

Ho appena concluso il triennio di Pianoforte, e per l’anno accademico che sta per cominciare inizierò il biennio di nuova attivazione in Maestro Collaboratore; portando avanti contemporaneamente il triennio di Direzione d’Orchestra, disciplina che spero possa diventare il mio lavoro, anche se so che sarà difficilissimo.
In ogni caso, è bene andare per gradi: il lavoro come maestro sostituto è da sempre il primo scalino sulla strada della direzione d’orchestra, che ho intenzione di percorrere senza bruciare le tappe e impegnandomi al massimo.

Che dire, ad maiora!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *