di Claudio Mantovani

 

No niente paura, non si tratta ancora una volta di qualcosa di relativo alle nuove indicazioni del governo in materia pensionistica, ma qui il soggetto è l’abitudine ormai ben radicata di suddividere, di solito per multipli temporali di dieci anni per volta, l’horror vacui che provoca un lungo anno anonimo, in tanti appuntamenti aureolati da celebrazioni che riportino eventi e/o personaggi del passato al cospetto attonito dell’oggi.
Non c’è branca della storia, del costume, dell’arte (e noi musici nelle nostre programmazioni concertistiche ne siamo i più affamati) che non celebri una qualche data significativa (forse perché la percezione ci induce a pensare che non succeda più niente di interessante?) sicuri come siamo che il nuovo altro non sia che una modificazione attualizzata del già avvenuto o che magari, in un eccesso di ottimismo, il già avvenuto sia la pietra angolare di mirabolanti costruzioni a venire.
O forse solo perché l’uomo, del passato, è sempre fedelmente innamorato.

Ebbene dunque anche questo 2019, cifre e dati alla mano, offrirà notevoli appuntamenti per i bulimici delle ricorrenze.
A partire dal traguardo storico dei cinquant’anni (per citarne solo alcuni), ci imbattiamo in nostalgici ricordi: il 20 luglio del 1969 siamo andati sulla Luna, abbiamo visto uscire il 26 settembre l’album indimenticabile dei Beatles Abbey Road, giovinetti abbiamo gioito invidiosamente per quello che accadeva il 15 agosto al gran festival di Woodstock, i più colti hanno pianto la morte di Adorno e hanno pianto anche tutti gli altri quando il 12 dicembre hanno, abbiamo, assistito al primo grande atto terroristico in Piazza Fontana: l’inizio di un’epoca orribilmente buia.

Ma questo 2019 ha anche la caratteristica di iniziare con una quota 100, un centenario da far tremare i polsi, un numero pieno, un secolo addirittura, che corrisponde alla celebrazione della nascita di uno dei personaggi italici più controversi, Giulio Andreotti (cui anche la Rai, benché in imbarazzata semi-sordina, dedicherà nella sera di domenica 13 gennaio un ricordo sotto forma di ricostruzione cinematografica, mandando in onda il film del 2008 di Paolo Sorrentino Il divo-La spettacolare vita di Giulio Andreotti).

Lo scorso anno, giusto per restare in tema di celebrazioni, anche noi di Allegroblog abbiamo tentato di ricordare a 40 anni di distanza l’infinita storia del rapimento ed uccisione di Aldo Moro, a cui come tutti sanno lo stesso On. Andreotti si trovò drammaticamente incatenato, anch’egli eternamente ostaggio della “prigione del popolo” o meglio del giudizio del popolo.
Personalmente in questo 2019 tornerò sull’argomento poiché ancora 40 anni sono la misura della distanza che ci separa da un altro dei tanti tragici fatti, quello cioè dell’uccisione a Roma, il 20 marzo 1979, di Mino Pecorelli (per inciso segnaliamo che il soprannome divo, già utilizzato da Giulio Cesare per sé stesso, fu dato ad Andreotti proprio da Pecorelli), giornalista scomodo, pericolosamente informato sui fatti, che, come è noto, del rapimento Moro molto conosceva e che certamente altrettanto ancora avrebbe avuto da raccontare, così che i destini di Moro, Pecorelli ed Andreotti (per non parlare di personaggi della levatura del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa o del Colonnello Varisco) si intrecceranno in modo drammatico e cruento.

Per tornare al nostro centenario, noi di Allegroblog, privi di pertinenti mezzi analitici e critici, intendiamo ricordare qui, semplicemente, un personaggio che ha fatto la storia del nostro Paese. Di lui si è detto di tutto e quello che manca, un giorno o l’altro, potrà forse emergere quando il temibile concetto di “segreto di stato” verrà declassificato a informazione ormai priva di pericolosità (e a questo proposito ho l’ardire di appellarmi all’Onorevole Roberto Fico, presidente della Camera dei deputati, affinché non venga a mancare la volontà e la pulsione verso la verità per i troppi fatti soffocati nel tempo che hanno fatto dell’Italia un’immensa Pompei che credo sarebbe doveroso far riemergere dall’oblio).

Giulio Andreotti nacque a Roma il 14 gennaio del 1919 e a Roma morì il 9 maggio del 2013 dopo essere stato per un lungo tratto del XX secolo “padrone” quasi indiscusso della politica italiana come esponente di spicco della Democrazia Cristiana (c’è poco oggi da scandalizzarsi sulle malefatte democristiane: non dimentichiamo che molti di noi, vecchi insegnanti di Conservatorio, sono entrati di ruolo attraverso le numerose sanatorie dovute ai buoni auspici di quella stessa Democrazia Cristiana…). Perennemente presente in tutte le elezioni politiche sino al 1991, anno in cui divenne Senatore a vita, dati alla mano, raramente fu superato in numeri di voti, risultando secondo in pochi casi: nel 1953 e 1963 nei confronti di Alcide de Gasperi (che tra l’altro assieme al Cardinale Montini, futuro Paolo VI, furono le persone che vollero lanciare Andreotti nella galassia politica dell’epoca), nel 1963 e 1968 da Aldo Moro (con cui spartì i primi anni di impegno cattolico-antifascista) e nel 1976 e 1983 da Enrico Berlinguer (capo del Partito Comunista).

Fu 7 volte presidente del Consiglio (compresi gli anni 1978-1979, quando nel 1978 durante i difficili momenti del rapimento Moro fu creato il governo di “solidarietà nazionale” con l’astensione del Partito Comunista italiano).
Fu 27 volte Ministro: Ministro della difesa 8 volte, 5 come Ministro degli affari esteri, 3 come Ministro delle partecipazioni statali, 2 volte come Ministro delle finanze, 1 volta Ministro del tesoro, Ministro dell’interno (a soli 35 anni, il più giovane della storia della nostra giovane repubblica), Ministro per i beni culturali ed altri ministeri ancora.

Tra il secolo scorso e l’attuale visse notevoli, inevitabili, peripezie giudiziarie soprattutto legate alle numerose accuse di collusioni mafiose da cui fu sempre assolto o che caddero per intervenuta prescrizione.
Ma a parte le terribili misteriose vicende italiane di quei tempi che ancora riverberano su quelli attuali, e ben lungi da incamminarci in una via agiografica nei suoi confronti, innegabilmente Giulio Andreotti fu uomo di grande spessore politico e culturale le cui origini, cattoliche ed antifasciste, lo portarono ad avere un ruolo di primo piano nella Consulta Nazionale nel 1945 e gli diedero i mezzi ed affinarono le sue capacità che gli permisero di accumulare quell’immenso potere che egli seppe parallelamente guadagnarsi sul campo.

Consapevoli che non stia certo a noi il giudizio definitivo sull’uomo Andreotti e sul suo operato, innegabilmente gli va riconosciuto il valore, che lo si voglia o meno, di essere stato uno degli ultimi grandi uomini politici nella storia del nostro tormentato ed amato Paese.

 

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