di Jacopo Gianesini

 

Nel contesto della musica tonale, con il termine “modulazione” si indica tanto il passaggio a una diversa tonalità nel corso di un brano, quanto i materiali musicali per mezzo dei quali tale passaggio si realizza. È uno tra i più importanti mezzi tecnico-espressivi impiegabili nel contesto della musica tonale allo scopo di variarne le sostanze e articolarne le forme e i contenuti.
Le principali conseguenze di un evento modulatorio sono di ordine duplice:
• La ridefinizione dell’alveo dei suoni propri e impropri (diremmo, la “comparsa” di alcuni suoni e la “scomparsa” di altri, secondo la differenza tra le due tonalità comunicanti)
• La riorganizzazione del diagramma dei suoni, dal punto di vista melodico e armonico, secondo lo spazio sintattico-funzionale della nuova tonalità
Nell’ambito della musica tonale colta (e della sua comprensione) l’aspetto cruciale è il secondo. Infatti, se pure nel passaggio da una tonalità all’altra si producono delle significative novità a livello superficiale (à la “fino ad ora non si era udita questa nota”), ben più rilevante è il riassestamento del conglomerato di relazioni componenti il vocabolario e la fraseologia del linguaggio tonale che consegue allo “spostamento”, o meglio “ricentratura” dei suoi cardini fondamentali post-evento modulatorio (i ruoli di Tonica e Dominante ora svolti da note diverse). Succede così che, nella nuova prospettiva, il quadro gerarchico dei suoni e delle entità accordali (e le diverse qualità statico- dinamiche che li animano) metta in risalto direzioni e dipendenze diverse, in più o meno netta contrapposizione rispetto a quelle precedenti a seconda delle tonalità tangenti: connessioni prima primarie diventano secondarie, accordi precedentemente transitori fungono ora da perni centrali del discorso, suoni fino a quel momento accessori sono posti in particolare evidenza – e così via. Proprio questo “divergere di ordini affini” (il contrasto tra ruoli, funzioni, gerarchie e colori del presente in relazione a quelli appena abbandonati) costituisce l’essenza del modulare.
Onde meglio chiarire la questione, seguono due diagrammi circolari sul cui perimetro sono indicati i dodici suoni e al cui interno, a mo’ di connessioni lineari tra alcuni di questi, si trovano evidenziate le relazioni e dipendenze funzionali principali di due tonalità diverse. Secondo una tale rappresentazione, una modulazione tra le tonalità di Do maggiore e Mi maggiore produrrebbe una rotazione in senso orario del diagramma interno di quattro “gradini”, e metterebbe in risalto (così come al contempo “svaluterebbe”) percorsi diversi all’interno del perimetro.

Diagramma di Do Maggiore
diagramma do maggiore

Diagramma di Mi Maggiore
digramma mi maggiore

Tale rappresentazione ci consente inoltre di comprendere in maniera intuitiva come diversi passaggi tra tonalità disegnino mutamenti di equilibrio diverso, nella misura in cui a seconda dei punti di partenza e di arrivo (ovvero della più o meno grande “rotazione” compiuta all’atto del modulare) si producono specifiche alterazioni dei ruoli, e più o meno aspri contrasti tra le situazioni pre- e post-modulazione.* Ogni modulazione dunque “colora” la musica non secondo logiche assolute, ma in virtù della connessione contestualmente prodotta, che contestualmente acquisisce un significato – e dal semplice e rassicurante fluire tra tonalità affini fino allo stravolgimento (stupito, sofferto, estatico…) prodotto dal passaggio ad ambiti tonali lontani e apparentemente incompatibili, le possibilità sono molte e diversissime tra loro, soprattutto allorché si estenda il ragionamento a complessi di modulazioni multiple. A ciò si aggiunge il fatto che in epoca tonale (particolarmente dalla metà del ‘700 in poi) la sempre maggiore attenzione posta all’organizzazione formale della musica ha caricato il modulare di un ulteriore piano di significato ed espressivo, inserito nella dimensione estesa di forme musicali i cui materiali sono complessivamente ordinati secondo rapporti e gerarchie tra tonalità, e che intorno a queste relazioni costruiscono parte del proprio significato. Per fare un esempio semplice ma rappresentativo, lo stesso approdo a una “tonalità X” avrà significato ben diverso (e susciterà sensazioni altrettanto diverse) a seconda che nel brano in cui avviene la tonalità in questione funga da perno strutturale o al contrario si trovi in netto contrasto con la/le tonalità di riferimento.**
In conclusione, pur nel limite della presente trattazione, riteniamo emerga con chiarezza da quanto descritto come il modulare offra notevoli opportunità di organizzare il discorso musicale in termini di puro suono – suono fatto dialogare con altro suono tra passato, presente e futuro, secondo logiche precise e precisamente manipolabili, ricche di implicazioni di grande potenziale espressivo. E invero l’affermazione storica della tonalità come perno del discorso musicale (e quindi della modulazione come strumento per la variazione e articolazione di tale discorrere) corrisponde all’epoca, all’incirca tra 1600 e 1800, in cui compositori e teorici vollero slegarsi dal giogo testuale per conferire all’arte dei suoni status autonomo, sostituendo alla dipendenza dalla dimensione ritmico-accentuativa e semantica della parola la definizione e successiva manipolazione di logiche intrinsecamente e unicamente musicali. Citiamo allora Charles-Henri Blainville, compositore e teorico della musica vissuto in Francia intorno alla metà del ‘700, che ebbe a scrivere sul modulare: “La modulazione è la componente essenziale [dell’arte musicale]. Senza di essa c’è ben poca musica, poiché un brano deriva la propria vera bellezza non dal numero di tonalità che contiene, bensì dalla sottile trama che disegna nel passare dall’una all’altra.”

 

*C’è un’importante sottolineatura da fare al riguardo, e cioè che alla riorganizzazione conseguente l’evento modulatorio corrisponde non solo la trasformazione “concreta” dei differenti percorsi effettivamente seguiti dai suoni nel variato contesto tonale, ma anche una trasformazione di natura “prospettica” avente a che vedere con la logica concatenatoria del discorso meloarmonico: ovvero, date le precise gerarchie e relazioni tra suoni del linguaggio tonale, il centrare il discorso su un suono diverso porta a una variazione dello spettro evolutivo potenziale associato a ciascuna “frase, parola, sillaba” musicale. Dunque nell’udire i suoni nel nuovo contesto tonale, il nostro diverso esperirli (con influenza tanto maggiore quanto più approfondita la conoscenza di tale linguaggio) corrisponde in considerevole parte anche al loro contenere implicitamente un diverso ventaglio di percorsi futuribili, cui associamo una rete di ipotetiche relazioni primarie, canali preferenziali, connessioni eccezionali o funzionalmente proibite…relazioni ciascuna con un proprio carattere e significato, e che a loro modo tutte, indipendentemente dal cammino che verrà effettivamente percorso, completano la realtà percettivo-cognitiva dell’ascolto di quei suoni.
**Va inoltre accennato il fatto che talune tonalità, in ragione di come con ripetuta coerenza espressiva sono state impiegate da uno o più autori nel corso della loro opera, hanno finito per acquisire vere e proprie qualità espressive intrinseche e metalinguistiche: per citare un paio dei casi più eclatanti, si pensi al Do minore di Beethoven, simbolo di tempestosa ribellione alle avversità del fato; oppure al solenne e terrificante Re minore mozartiano indelebilmente associato alla spaventosa comparsa del Commendatore nell’ultimo atto del Don Giovanni. Questi caratteri assoluti, lungi dal forzare i compositori nell’impiego delle diverse tonalità, sono stati anzi un ulteriore strumento a loro disposizione per rafforzare le qualità espressive di un linguaggio musicale sempre più indipendente perché sempre più diffusamente autoreferenziale, capace di arricchirsi di correlazioni di significato storicamente validate e dunque estendentesi, come particolarmente evidente in questo caso, perfino al di là dei confini delle singole opere.

 

2 thoughts on “MODULAZIONE: LA SOTTILE TRAMA CHE DIPINGE IL BRANO”

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