di Ezio Aimasso

 

La risposta a questa domanda ci viene data se esaminiamo la natura più profonda e più vera del canto gregoriano, apprezzabile solamente partecipando ad una Liturgia in cui sia parte essenziale; eseguito in un concerto viene percepito solamente come prodotto culturale, espressione soprattutto di un mondo e di una civiltà artistica particolari. Allora può diventare freddo oggetto di studi filologici e musicali, che ci allontanano sempre più dal valore reale essenziale di questo particolare tipo di canto.

Le ipotesi sulla sua origine sono diverse: attualmente le più accreditate sono quelle che la collocano in epoca carolingia, con la fusione del canto romano antico e di quello gallicano. I libri di canto e la liturgia romana seguirono il papa Stefano II nel suo viaggio e soggiorno a Parigi verso la metà dell’VIII secolo: qui il sovrano Pipino il breve vede in essi uno straordinario mezzo per garantire l’unità religiosa nei suoi territori. Venendo a contatto col canto gallicano i due repertori si sono fusi: il testo dei canti romani si impose facilmente, mentre per la melodia si verificò una fusione. L’andamento melodico e l’architettura modale del romano antico furono per lo più accettati dai musici gallicani, che però modificarono le melodie, cercando di assimilarle a quelle della loro tradizione. Da questo incrocio nacque il canto gregoriano come noi lo conosciamo. Secondo un’altra ipotesi, sostenuta soprattutto dal grande musicologo tedesco Bruno Stäblein, il canto gregoriano avrebbe avuto origine a Roma nella seconda metà del VII secolo, con varie rielaborazioni successive anche oltralpe, fino a raggiungere l’ultima redazione giunta fino a noi.

Queste notizie storiche, gli studi semiologici e filologici, non ci devono però far perdere di vista quella che è la natura essenziale, più profonda e più vera di questo canto: il gregoriano è mistica in canto. Il cantore comunica con il canto ciò che le parole non sono in grado di esprimere: la voce di Dio. Diventa nella Liturgia portavoce di Dio, profeta espropriato della sua voce, anziché, come avviene in un concerto, della propria cultura e del proprio gusto personale. Ci si accorge che si canta in modo corretto solo quando si percepisce un emozione ed un’esperienza spirituale che apre nel cuore uno spazio infinito, dove cielo e terra si incontrano. Essenzialmente il canto gregoriano, nella sua natura più profonda, non è musica, ma preghiera, che non deve mai essere trasmessa e percepita come qualcosa di interessante o piacevole, ma solo come espressione di fede orante. Ci si mette in ascolto del gregoriano solo per poter ascoltare la voce del cuore attento alla parola di Dio.
Il gregoriano, che buona parte del clero vorrebbe relegato solamente in sale da concerti, diventa fonte di elevazione spirituale, attraverso la proclamazione della Parola di Dio, solo nella celebrazione Liturgica; durante concerti, incontri culturali, ma anche in celebrazioni liturgiche non partecipate con viva intensità orante, si trova sradicato dalla sua sede naturale. Diventa allora puro oggetto di archeologia e di curiosità estetica; in altre parole rivisitato fuori dal contesto liturgico rischia veramente di diventare solamente un fossile da museo.

La chiesa lo ha conservato e trasmesso attraverso i secoli, definendolo nell’ultimo concilio Vaticano II “canto proprio della liturgia romana”: nonostante queste nette parole, negli ultimi 50 anni è stato espropriato della sua casa naturale, la celebrazione liturgica, per essere relegato solamente in sale da concerto. Questa situazione è oramai diffusa ovunque: solo eccezionalmente è dato incontrare qualche sacerdote che ne permette l’esecuzione durante i sacri riti.
Ma mettere il bavaglio al gregoriano significa annullare una parte importante di quella che è la Parola di Dio trasmessa in canto. In nome di un’Actuosa participatio male interpretata, si è cercato di mettere nell’angolo questo importante mezzo di elevazione spirituale. Ci piace concludere con una frase stupenda di Joseph Ratzinger:
“Si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della “partecipazione attiva”: ma questa “partecipazione” non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c’è proprio nulla di “attivo” nell’ascoltare, nell’intuire, nel commuoversi?”


 

Ezio Aimasso. Medico pediatra, nel 1998 si è diplomato in Musica corale e Direzione di Coro presso il Conservatorio “G.F. Ghedini” di Cuneo. Successivamente ha intrapreso lo studio del Canto Gregoriano, ottenendo il diploma e la laurea presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino nella classe del prof. Fulvio Rampi. Sotto la guida dei proff. Daniel Saulnier e Giacomo Baroffio, nel 2012 ha conseguito il dottorato di ricerca in Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma (Summa cum Laude). Ha pubblicato due libri, L’Antifonale iemale della Chiesa vercellese (Vercelli, Biblioteca Capitolare LXX), casa editirice Anatres di Alba, e Il gregoriano, una scala verso il Paradiso, edito da Sillabe di Livorno. Ha tenuto lezioni presso una delle cattedre di storia medioevale alla facoltà di scienze della formazione dell’Università di Torino quale esperto della musica dell’epoca.
Collabora continuativamente con una delle cattedre di composizione del Conservatorio G. Verdi di Milano, dove tiene annualmente seminari sul canto gregoriano. È autore di articoli per importanti riviste culturali (Alba Pompeia) e di musica sacra a diffusione nazionale (il Bollettino Ceciliano), ed Internazionale (Rivista Internazionale di Musica Sacra). Ha scritto, su esplicita richiesta dei monaci di Solesmes, la prefazione alla riedizione italiana del 2015 de “Il mio primo anno di Canto Gregoriano” di dom Eugene Cardine. Ultimamente ha portato a termine uno studio paleografico sul Rotulo di san Teobaldo, custodito presso l’archivio storico della diocesi di Alba, che è stato pubblicato sulla rivista Etudes Gregoriennes, edita dai monaci di Solesmes.
Dal 2006 al 2016 è stato direttore dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra di Alba.
Nel 2009 ha fondato il coro gregoriano Haec dies di Alba, attualmente formato da nove elementi, che dirige tuttora.

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