di Carlotta Petruccioli

 

Sono passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino. Ci sono momenti che solo guardati a posteriori si possono chiamare “storici”. Direi che la caduta del muro non sia uno di quelli. Penso che chiunque nel 1989 si rendesse conto di vivere un anno che un giorno sarebbe andato ad aggiungersi a un già lunghissimo (ahinoi studenti) elenco di date nei libri di storia. E spesso i grandi avvenimenti hanno i loro eroi che vengono alla ribalta, impazienti di mostrarsi al mondo e di ritagliarsi un posticino nella memoria dei posteri. Oggi riascoltavo Girotondo di De André e mi è venuto in mente Stanislav Petrov. Se vi state chiedendo chi sia…beh, purtroppo non siete gli unici. Si può definire un eroe dimenticato, o almeno dimenticato dai suoi connazionali. Se ancora possiamo vivere su questo pianeta, se ancora abbiamo la possibilità di visitare monumentali rovine vecchie di migliaia di anni, se la nostra Storia, le nostre civiltà, i nostri piccoli problemi e le nostre gioie quotidiane hanno ancora una qualche importanza…lo dobbiamo a lui. Era un “semplice” analista russo che negli anni ’80 lavorava in un centro di sorveglianza a distanza dei silos contenenti i missili intercontinentali americani. Una sera come le altre arriva al lavoro e scopre di dover sostituire un militare professionista nel turno ai calcolatori. Era fine settembre, chissà forse sulla strada verso il lavoro aveva visto cadere qualche foglia, magari aveva notato i primi alberi spogli. Forse quella notte aveva aggiunto un plaid per non soffrire il freddo in quel periodo strano in cui non si accende ancora il riscaldamento, ma fa troppo freddo per dormire solo con una coperta. Alle 00.15 si accende una spia rossa del piano di controllo e immagino che la sala sia piombata nel silenzio più totale. Poi iniziano ad accendersene altre. In poche frazioni di secondo Petrov deve decidere se dare l’allarme o meno. Forse gli americani hanno lanciato dei missili nucleari. Forse la guerra fredda sta per finire, in un modo o nell’altro. Forse sarà l’apocalisse. Poi Petrov si rende conto che gli USA non avrebbero fatto partire solo qualche missile, avrebbero più probabilmente deciso di distruggere la Russia, e di conseguenza l’Europa, con un attacco inarrestabile. Decide, spera, che sia solo un errore, un malfunzionamento. Dopotutto la tecnologia non è infallibile, giusto? Così non avverte i superiori. Non fa quella chiamata che avrebbe attivato il protocollo seguendo il quale sarebbero partiti i missili per radere al suolo gli Stati Uniti. Quando la sua storia raggiunge i piani alti, nessuno lo ringrazia. Non viene promosso, non viene insignito di onorificenze. Nulla. Il fatto che avesse avuto ragione infatti può significare solo una cosa: il sistema difensivo della grande Unione Sovietica non è stato progettato a dovere e scambia dei riflessi per testate nucleari.

A differenza della caduta del muro, quel momento, quella notte, solo oggi possiamo dire che sia stata storica, ma d’altra parte quale momento ha maggior diritto di essere definito tale di quello che, di fatto, ha salvato la Storia? Oggi guardando fuori dalla finestra ho cercato di immaginarmi una Terra devastata da una guerra feroce, che non avrebbe risparmiato nessuno, una guerra codarda, senza nessun tipo di etica. E ho ringraziato Petrov. Ho ringraziato lui e tutti gli uomini come lui che con le loro difficilissime decisioni hanno contribuito a salvare la nostra Casa.

Ci salva l’aviatore che la bomba non getterà”.

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