di Camilla Fiz

Quello della violenza sulle donne è un argomento che non mi stupisce più. Non fraintendetemi, inorridisco nel venire a conoscenza dell’ennesima storia di donna vittima di un qualunque atto contro la sua persona, ma si tratta di un fenomeno a cui sono abituata. La violenza sulle donne la viviamo ogni giorno, uomo o donna che tu sia. In Italia il 31,5% 1 delle donne ha dichiarato di essere stata vittima di una violenza fisica o sessuale, ovvero 6 milioni e 788 mila persone di genere femminile, solo qui nel Bel Paese. Numero che probabilmente non comprende la totalità delle vittime, considerando tutte quelle donne che non denunciano e decidono di vivere, anzi sopravvivere seppellendo la vergogna del gesto subito. Tutte le settimane riceviamo come campanelli di allarme eventi di cronaca a ricordarci come sia radicata la cultura della violenza sulle donne nella nostra società.

Però oggi a differenza di ieri, godiamo del privilegio di poterne parlare, poiché un sopruso sessuale o fisico nei confronti di una donna, quando non omesso, fa notizia e talvolta suscita scalpore. Il lusso della parola e della comunicazione però non intimorisce chi si sente legittimato a compiere un atto di violenza fisico o sessuale. A dimostrazione di ciò parlano i numeri della World Health Organization per cui nel corso della propria vita una donna su tre è vittima di violenza da uno sconosciuto, mentre il 30% dal proprio partner 2. In Italia nel 2020 è stato registrato un femminicidio ogni tre giorni e la percentuale donne vittime per mano di familiari è aumentata del 10,2 come conseguenza diretta della forzata clausura 3. Che la violenza domestica sia più letale del nuovo coronavirus? Questi dati significano che ogni bambina del mondo che guarda sorridente al suo futuro, molto presto dovrà interfacciarsi con la realtà. Si potrà ritenere fortunata di non essere lei a rientrare nel conto delle vittime e proverà sollievo a sostenere le amiche che invece ne fanno parte. È quindi evidente come la violenza sulle donne, problema antichissimo, sia soprattutto una questione attuale e da condannare nuovamente senza indugio.

Tuttavia, esso rappresenta soltanto il risvolto più drammatico di un processo a cui siamo abituate fin da piccole. Si tratta di una sorta di oppressione costante, come se fossimo schiacciate e obbligate a guardare a terra una volta che volgiamo lo sguardo al cielo. Sulle donne grava il peso dato dalla responsabilità delle proprie scelte, sommato a quello ancora più gravoso del giudizio degli altrui. Una donna non è mai solo per sé stessa e vive in bilico tra le sue necessità e quello che conviene al suo ruolo. Se l’uomo è formato dal sinodo di mente e corpo, nella nostra società la donna è molto più il secondo rispetto al primo. E se una donna è solo corpo o quasi, il suo aspetto si porrà prima di ogni altra presentazione, di ogni intervento o pensiero.

Sarà giudicata dalle sue pari e dagli uomini per il modo in cui appare e si ridurrà a spendere tempo prezioso per rendersi più accettabile, agli altri prima che a sé stessa. L’effetto più diretto di questa situazione sarà una perdita della fiducia nelle proprie capacità e nel ridimensionamento delle proprie aspirazioni 4. Una prova evidente della mancanza di sicurezza tutta femminile è data dallo squilibrio del numero di donne che ricorrono alla chirurgia plastica rispetto agli uomini 5. All’uomo è concesso di invecchiare e di diventare brutto, alla donna no, perché il corpo è la sua principale risorsa e ha poco altro da dimostrare. È come se una persona parlasse senza essere mai ascoltata, è inevitabile che nel tempo si convinca di non avere nulla da dire. Una società migliore si può basare soltanto su un ascolto e un’attenzione maggiore alla donna nella sua interezza. Bisogna alzare la voce in modo che sia chiara a tutti, affinché qualunque donna si senta rappresentata, si senta tutelata nei suoi diritti, necessità e doveri.

Non è ammissibile che una donna leader in qualunque settore sia ancora una eccezione. In Europa solo 6 paesi su 31 hanno ai vertici del governo una rappresentanza femminile 6 e nel 2015 la percentuale di donne tra i membri degli organismi decisionali di più alto livello delle maggiori società nazionali in Borsa era solo il 21,2% 7. Inoltre, una responsabilità enorme è giocata dai media, già nota nel 1970 quando venne sviluppato il concetto di “annichilimento simbolico” per indicare l’assenza, la sotto rappresentazione della donna o la distorsione della sua immagine. È interessante come questo fenomeno risultasse avere un profondo impatto sulla visione delle ragazze del proprio futuro, del modo in cui venivano trattate entro le mura domestiche e come i bambini percepivano i ruoli di genere nel corso della loro vita 8. Sono passati 50 anni, oggi possiamo ancora parlare di “annichilimento sociale”? Innegabile è il fatto che il ruolo della donna si sia evoluto insieme ad una crescente sensibilità verso la sua posizione della società, ma questo cambiamento è contrapposto da una fortissima corrente contraria. Parlo della responsabilità che hanno i media, con i social network al primo posto, nel proporre uno stereotipo di donna molto più finto della madre casalinga e impeccabile dei decenni scorsi. Le bambine e ragazze di oggi si ritrovano ad essere nell’età in cui sono più vulnerabili, esageratamente esposte ad un’immagine distorta della donna: necessariamente giovane e con una bellezza quasi plastica, accessoriata da una vita meravigliosa, ma sostanzialmente vuota.

Quindi, mentre da un lato aumenta la sensibilità nei riguardi della violenza sulla donna, dall’altro viene rafforzato lo stereotipo della donna oggetto con probabili ripercussioni nelle prospettive e comportamenti futuri delle nuove generazioni 8. È pertanto necessario rivalutare il problema della rappresentanza per permettere alle ragazzine di scegliere tra numerosi modelli realistici di donna competente e preparata. A tal fine bisogna dare alle donne la possibilità di ricoprire ruoli di potere, correndo il rischio di sbagliare, ma anche di vincere. Più musiciste soliste, più registe, più epidemiologhe, più donne dirigenti di azienda anche al costo di mettere in ombra la controparte maschile per un breve periodo. Le bambine e ragazze devono imparare ad avere fiducia delle proprie possibilità e non avere come unica aspirazione quella di essere un oggetto o un’eccezione in un mondo su misura per gli uomini. In modo che non ci sia più bisogno di convincere quegli uomini, anche i più scettici, a vedere nella moglie, compagna, figlia o sconosciuta soltanto una pari.
Vogliamo un mondo con uomini fallibili e donne libere di ridere. “Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne che gli uomini le uccidano” scrive Margaret Atwood, scrittrice e attivista per i diritti e contro la violenza sulle donne. E se questo rappresenta anche solo in parte il mondo di oggi, a me piace sperare in un futuro in cui si ride, ma insieme delle proprie debolezze.


Fonti:

1. Omicidi di donne. https://www.istat.it.
2. Violence against women. https://www.who.int.
3. Eures: stabile il numero dei femminicidi nel 2020, effetto lockdown sulle vittime conviventi (+10,2%). https://www.eures.it.
4. Carlin, B. A., Gelb, B. D., Belinne, J. K. & Ramchand, L. Bridging the gender gap in confidence. Business Horizons 61, 765–774 (2018).
5. Van Boerum, M. S. et al. The confidence gap: Findings for women in plastic surgery. The American Journal of Surgery 220, 1351–1357 (2020).
6. Quante sono le donne leader in politica in Europa e nel mondo. https://www.agi.it.
7. Traguardi raggiunti in materia di parità di genere. https://ec.europa.eu.
8. Caswell, M., Migoni, A. A., Geraci, N. & Cifor, M. ‘To Be Able to Imagine Otherwise’: community archives and the importance of representation. Archives and Records 38, 5–26 (2017).

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