Serata ricca di interesse quella di mercoledì scorso in Conservatorio per i Concerti dell’Unione Musicale: protagonista del concerto è stato il Trio Jean Paul, composto da Ulf Schneider al violino, Martin Löhr al violoncello e Eckart Heiligers al pianoforte. Questo ensemble tutto tedesco ha offerto una grandeprova, dimostrando alla platea cosa significa avere un’esperienzatrentennale alle spalle. Il programma di sala ha previsto l’esecuzione di tre Trii fondamentali della tradizione musicale tedesca, veri e propri cardini della letteratura rivolta a questa formazione ed esponenti di tre momenti diversi tra fine Settecentoe fine Ottocento.

Il concerto si è infatti aperto con il Trio op. 1 n. 1 in mi bemolle maggiore di Beethoven, eseguito in maniera eccellente. Il brano è stato reso magnificamente e con una precisione cristallina. Èemersa dall’inizio alla fine una cura certosina per l’articolazione che ha caratterizzato ogni singolo inciso melodico e ritmico, cosa che a sua volta ha generato una perfetta chiarezza strutturale; una vera e propria lezione sul rapporto tra microstruttura e macrostruttura. Ogni movimento è così fluito con naturalezza, nel rispetto delle forme e della poetica dei contrasti tipica di questamusica. Fin dall’Allegro iniziale il Trio Jean Paul ha offerto un’impronta sonora molto efficace a questo capolavoro classico ene ha reso estremamente gradevole la fruizione. Non c’è da stupirsi che una formazione in grado di fornire una simile esecuzione abbia incontrato il favore di due autorità in fatto di ricostruzione storica delle prassi esecutive quali NikolausHarnoncourt e Sir Roger Norrington.

Molto meno convincente, invece, l’interpretazione del Trio in do minore op. 101 di Brahms. Composto nel 1886, il branoappartiene alla produzione matura del compositore amburghese e si fa foriero della conquista di uno stile più conciso ed essenziale rispetto ai lavori precedenti. Il Trio Jean Paul ne ha offerto un’esecuzione caratterizzata ancora una volta da grande puntualità in fatto di articolazione, ma in diversi punti ha mancato di intensità. Il primo movimento, per esempio, è parso un po’ debole;già dall’inizio ci sarebbe voluto più vigore da parte del pianoforte per valorizzare l’energico presente nell’agogica e un atteggiamento diverso sia nel suono che nel vibrato da parte degli archi, che avrebbero esaltato i fraseggi densi e avvolgenti tipici di Brahms. Stesso discorso per l’Allegro molto finale; più azzeccato il carattere dei due movimenti centrali, rapsodico e quasi spettrale il Presto non assai e intimamente lirico l’Andante grazioso. Nel complesso, un’esecuzione un po’ discontinua, la sensazione è statache questo brano fosse meno nelle corde dei tre musicisti.

Il Trio in do minore op. 66 di Mendelssohn, che a livello storico si trova esattamente in mezzo ai Trii proposti precedentemente nel programma, è stato il vero culmine del concerto. Fin da subito il Trio Jean Paul ha dimostrato un’affinità particolare con questa partitura dimostrando il solito religioso rispetto per la scrittura earrivando stavolta a sprigionare tutta l’energia che era mancata in Brahms. Tutte le atmosfere sono state valorizzate a dovere, da quelle più tumultuose del primo movimento, a quelle più serene del secondo fino ad arrivare a quelle più “elfiche” e shakespeariane del terzo; ma più di tutti il Finale ha saputo rapire il pubblico con i suoi momenti epici e corali ed è stato giustamente tributato da calorosi applausi. Un solo bis fuori programma, lo Scherzando del celebre Trio op. 100 in mi bemolle maggiore di Schubert, eseguito con l’eleganza e la semplicità che gli appartengono.

 

 

Alessandro Ricobello

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