Lo scorso 3 maggio l’Unione Musicale ha presentato sul palco del Salone del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino un ospite ormai quasi fisso delle ultime stagioni: il rinomato Trio di Parma, ensemble tutto italiano composto dal pianista Alberto Miodini, dal violinista Ivan Rabaglia e dal violoncellista Enrico Bronzi.

Nella prima parte del concerto, il programma prevedeva il secondo Trio op. 80 di Robert Schumann, un brano di una fruibilità non semplicissima per il pubblico dove gli slanci romantici dell’intimistico Eusebio e dell’inquieto Florestanovengono attenuati attraverso una luce quasi bachiana, poiché l’elemento contrappuntistico diviene la colonna portante dell’intero lavoro. Il Trio di Parma ha dimostrato un ottimoinsieme che ha permesso ai tre musicisti di venire a capo con grande naturalezza delle zone ritmicamente più complesse (mi viene in mente il secondo movimento, dove il cantabile del violino deve risaltare con libertà pur incastrandosi con l’andamento terzinato del pianoforte e il ritmo di croma col punto e semicroma del violoncello), ma ciò non è bastato a rendere l’esecuzione tra le più esaltanti, complice sicuramente la partitura che all’ascolto può risultare assai criptica, ma forse anche un approccio eccessivamente compassato.

Molto più memorabile la seconda parte, dove è stato eseguito il celeberrimo Trio op. 100 di Franz Schubert, brano cardine dell’intera produzione dedicata a questa formazione. La platea e il palco stesso sono stati invasi dalla bellezza cristallina di questa musica, permettendo in particolare al carisma del violoncellista di emergere quale vero cuore pulsante dell’intera formazione. Della precedente compostezza si sono perse le tracce, per lasciare posto a un suono d’insieme che ha dimostrato un decisamente più ampio spettro di colori e dinamiche dal ppp al ff pur conservando una grande eleganza dall’inizio alla fine. Fatta eccezione per qualche deliquio di intonazione, l’esecuzione ha rispettato lo spirito della composizione valorizzando l’apparente semplicità della scrittura di Schubert, dove ogni minima cellula splende di luce propria e ha il suo peso specifico. Tra i due bis proposti il primo, l’Allegretto del Trio op. 70 n°2 di Beethoven, è stata una scelta insolita che si è rivelata essere una sorpresa assai gradita, grazie a un’esecuzione estremamente puntuale che ha colto il carattere dei temi e di ogni variazione. Molto ben eseguito anche il secondo bis, il secondo movimento del Trio op. 110 di Schumann, che ha chiuso il cerchio cominciato con il primo brano della serata.

 

Alessandro Ricobello

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