di Danilo Ionadi

 

Si discute spesso intorno alla crucialità della cultura musicale nel nostro Paese e sul ruolo rivestito dalla Musica in fase di formazione del cittadino. Benché possano esservi tante posizioni nel merito, il più delle volte si conclude lamentando una generale mancanza di cultura musicale in Italia e, in ispecie, una scarsa conoscenza del repertorio classico e operistico. È un problema che aprirebbe la strada ad innumerevoli analisi delle cause di tale situazione. È indubbio che la mancata conoscenza da parte di moltissimi giovani, ma non solo, del repertorio classico e operistico non è dettata da mere ragioni economiche, come qualcuno sostiene, finendo per banalizzare un problema più complesso, e a riprova di ciò basti considerare quanti concerti di musica classica abbiano un costo, specie per i giovani, spesso inferiore a quello di un biglietto per il cinematografo e fortemente inferiore al costo medio dei biglietti di un cantante pop o rock o metal.

L’aspetto economico può, va riconosciuto, emergere sul versante operistico, ove non di rado i costi per accedere alle rappresentazioni non sono affatto economici e quindi difficilmente incentivano chi non ha mai avuto occasione di conoscere questo genere di repertorio a cimentarsi alla scoperta di un nuovo mondo. No, il problema, in generale, non è economico, ma culturale. Per lo meno, ed è una beffa alla Storia ed alla cultura del nostro Paese, in Italia, laddove invece tantissimi altri Paesi, a cominciare dall’est Europa, in cui l’insegnamento musicale avviene fin dall’età prescolastica, hanno colto già da tempi ormai lontani l’importanza del ruolo della musica nella formazione non solo dello studente ma del cittadino. Nella formazione degli studenti, e quindi nella formazione degli individui, l’insegnamento musicale riveste nel nostro Paese infima importanza e ciò lo si può evincere osservando i programmi di insegnamento di una qualunque scuola dell’obbligo. Insegnamento musicale assente nelle scuole dell’infanzia, mancante nella scuola elementare, decisamente insufficiente nella scuola media e nuovamente assente nelle scuole superiori (con l’ovvia eccezione del liceo musicale). I programmi non li scrivono i docenti, è vero. Le riforme dell’istruzione non paiono mai affrontare il problema, o peggio, non prenderlo neppure in considerazione.

Quando i governi sono intervenuti in ambito di formazione artistica e musicale, non di rado hanno fatto solo danni e in proposito basti il riferimento alla disciplina del “Nuovo Ordinamento”, che, fatta senza il minimo riguardo alle reali conseguenze che avrebbe trascinato con sé e stravolgendo la precedente impostazione del Conservatorio, ha voluto assimilare il percorso formativo all’interno del Conservatorio ad un qualunque percorso universitario, dando prova dell’ormai incolmabile distanza di chi si occupa di riformare la formazione artistica e musicale dal solo comprendere che cosa sia e che cosa richieda la formazione di un musicista, e per giunta imbrigliando gli studenti in giungle burocratiche che paiono non trovare mai una fine. Insomma, se qualcuno si aspettava che un qualche miglioramento potesse giungere “dall’alto” a prendere atto del problema, non è stato semplicemente deluso, ma indotto quasi a sperare che di tali “miglioramenti” se ne possano non vedere più altri in futuro. E allora la palla passa alla scuola, cui compete il delicatissimo compito della formazione di individui, di studenti, di cittadini. I docenti nelle scuole, in tutte le scuole, vivono una realtà concreta, possono palpare i problemi autentici della formazione e perciò provvedere, nei limiti della loro autonomia, a supplire alle indubbie carenze degli apparati governativi sulla questione, per riscoprire l’importanza della cultura musicale nella fase formativa dell’individuo ed assicurare ad essa la giusta considerazione che merita e che, a ben guardare, già riceve in molti Paesi. Ahimè, anche ciò non sempre avviene.

Ma per dar prova che quanto dico non sia un astratto discorso sulla situazione in cui versa il nostro Paese in merito non solo alla formazione musicale ma anche al riconoscimento dell’importanza nella Musica e della cultura musicale nella formazione generale dell’individuo, posso prospettare un caso vero, concreto, realmente accaduto. Non molto più di un anno fa, nel novembre 2018, nella città di Ascoli Piceno ha luogo una anteprima del Così Fan Tutte dedicata appositamente agli studenti di scuole medie e superiori. Come si vede, a conferma proprio di quanto si diceva poc’anzi, se lo Stato manca, non sempre per ciò solo mancano occasioni di supplire a quelle imperdonabili carenze, che se pure non dovrebbero esserci, non si può che riconoscere e conseguentemente adoperarsi al massimo al fine di ridurne la portata.

Ebbene, proprio per decisione dei docenti, la partecipazione a quella anteprima, da parte di ben tre scuole!, è stata preclusa agli studenti, poiché a giudizio degli insegnanti trattavasi di opera dalla trama troppo osé, decisamente inadatta alla visione e all’ascolto dei fanciulli in età adolescenziale, e non certo formativa. Ora, non sto qui ad argomentare su come si potrebbe ritenere, sulla base della trama e avvalendosi della logica sottesa alla decisione di quei docenti, inadatta a giovani di quell’età pressoché ogni rappresentazione d’Opera; se, infatti, non è adatta Così Fan Tutte, certamente non potrà esserlo Don Giovanni, il cui protagonista, dopo aver consumato la notte con una donna, oltre a fuggire ne uccide il padre e “purché porti la gonnella, voi sapete quel che fa”. Insomma, Mozart ai minori proprio non è adatto. E allora Verdi potrebbe andar meglio? Certamente sì, ammesso, però, che si voglia ritenere che “questa o quella per me pari sono… Sol chi vuole si serbi fedele, non v’è amor se non v’è libertà” sia considerabile “più educativo” del Così Fan Tutte. E ancora, l’uccisione di Carmen quanto potrebbe allora essere considerata adatta alla visione di ragazzi di scuola media? Insomma, si potrebbe andare avanti a lungo e si concluderebbe che allontanare i ragazzi dall’Opera sia l’unico modo per salvare il Paese da una gioventù…Traviata.

La decisione di quei docenti va interpretata per quello che è e cioè il sintomo di un Paese che tanto ha dato al mondo in termini di cultura letteraria, operistica, musicale, al punto di non esser più in grado non solo di valorizzare l’immenso patrimonio di cui è titolare, ma neppure di apprezzarlo. La domanda, nel caso di specie, sorge spontanea e cioè se e quanto quegli insegnanti siano adatti a ricoprire quel delicatissimo ruolo. Precludere a tanti studenti la possibilità di avvicinarsi a un mondo per molti di loro nuovo, quale è quello dell’Opera, significa scaricare questo compito interamente sulle famiglie e quindi lasciare che a quel repertorio essi si avvicinino solo se avranno la fortuna di avere una famiglia che reputi opportuno avvicinarli ad esso. Quella decisione denota, per me, non solo un grande disprezzo del patrimonio artistico del nostro Paese (Da Ponte era italiano) ma anche un netto rifiuto di formare l’individuo prima che lo studente. Inoltre, e non è da poco, non solo tantissimi di quegli studenti non avranno forse più la possibilità di avvicinarsi e conoscere un mondo tanto grandioso quanto a loro sconosciuto ma gli è stata anche inculcata l’idea che l’Opera non è semplicemente inutile ai fini della formazione ma anzi è qualcosa di dannoso per essa in quanto contraria al buon costume e pertanto meritevole di riprovazione dalla coscienza sociale.

La scuola fa il cittadino e la scuola la fa lo Stato, sì, ma la fanno anche gli insegnanti su cui incombe una delicatissima responsabilità e che dovrebbero a loro volta essere partecipi di una cultura musicale minima e sufficiente per poter trasmettere l’amore, la spinta e la curiosità verso la Musica di ogni tempo e di ogni luogo e non mai il rifiuto ed il disprezzo per essa. Nel nostro Paese il ruolo della Musica è relegato allo spazio dell’interesse personale dell’individuo e non mai alla formazione di esso, in quanto chi voglia apprendere, conoscere ed essere partecipe di quanto può restituire all’individuo la Musica deve inesorabilmente essere studente di Conservatorio o di altro istituto musicale e quando invece non si trovi ad esserlo è inevitabilmente rimesso all’avvedutezza dei singoli insegnanti che egli incontra nel suo percorso che conferiscano extra ordinem uno spazio ed un ruolo alla Musica altrimenti assente nei programmi e nei piani di studio e laddove così non sia egli si troverà destinato a non partecipare, neppure in misura accettabilmente minima, dell’apertura, della conoscenza e dell’utilità che la Musica offre all’individuo. O, nel peggiore dei casi, come quello di Ascoli Piceno, a maturare, proprio in fase formativa, un rifiuto ed un disprezzo verso tutto quel mondo.

 

di Danilo Ionadi

(Studente di Pianoforte del Conservatorio di Torino, II Triennio Accademico, e frequentante il II anno della facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino)

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