Mercoledì scorso il pubblico dell’Unione Musicale ha potuto assistere ad uno dei concerti più attesi della stagione: il Salone del Conservatorio ha visto sul proprio palco il violoncellista francese Gautier Capuçon e il pianista russo Nikolaj L’vovič Luganskij, due nomi del panorama musicale internazionale che non hanno certo bisogno di presentazioni. I due musicisti hanno regalato al pubblico una serata intrisa sia del solismo che è lecito aspettarsi da interpreti della loro caratura sia di raffinatezze cameristiche che hanno reso ancor più pregevole l’esecuzione.

La nazionalità dei due musicisti si è riflettuta sia sul programma di sala, che ha visto le Sonate per violoncello e pianoforte di Claude Debussy e Dmitrij Šostakovič nella prima parte e la Sonata di Sergej Rachmaninov nella seconda, sia sulla scelta dei due bis, Vocalise di Rachmaninov e “Il Cigno” da il “Carnevale degli animali” di Camille Saint-Saëns.

La prima parte si è aperta appunto con la Sonata di Debussy, eseguita forse in maniera troppo spettacolare ed enfatica piuttosto che con un carattere dimesso e riflessivo. Questa scelta ha visto premiate le capacità strumentali dei due musicisti a scapito delle atmosfere sognanti che il brano può evocare, ma la resa sonora è stata così coinvolgente e l’insieme così impeccabile da non lasciare spazio a vere e proprie critiche. Si è poi proseguito con la Sonata di Šostakovič, resa magnificamente in tutte le sue sfumature: dolce, selvaggia, grottesca e alle volte cruda fino all’inclemenza. Il Largo, poi, mozzafiato, è arrivato come una pugnalata quando ci si era appena concessi un po’ di divertimento con l’Allegro precedente. Qualche inflessione romantica di troppo nel Finale, ma nel complesso un’esecuzione memorabile che ha riscosso calorosi applausi e strepiti dal pubblico, quasi fosse il brano conclusivo della serata.

La seconda parte è stata interamente occupata dalla Sonata di Rachmaninov, caratterizzata da una visibile sproporzione fra le difficoltà tecniche che la scrittura affida al pianoforte, che deve fronteggiare una immensa mole di note, e al violoncello, che più spiccare in tutto il suo lirismo. Ciò nonostante, il duo ha fatto trasparire equilibrio da tutte le parti: nel regno delle idee di Luganskij, con il suono massiccio che inevitabilmente esce dal pianoforte, Capuçon è emerso con disinvoltura, dimostrando una gestione dell’arco impressionante. Una piccola chicca, all’inizio del secondo movimento nei do pizzicati del violoncello all’unisono con quelli della mano sinistra del pianoforte Capuçone Luganskij avevano una gestualità identica, sintomo estremodella comunanza di intenzioni che ha caratterizzato l’intero concerto: è anche in queste piccole cose che si vede se un duo è veramente un duo. L’unica nota stonata è stata la scelta dei due bis, entrambi conosciutissimi ed estremamente simili nel carattere, che ha disperso l’energia generata dal concerto, fino a quel momento scoppiettante. Si badi, la critica sta nella scelta dei bis, non nella loro esecuzione, che è stata ineccepibile.

I concerti dell’Unione Musicale continuano a regalare serate di alto livello e, in attesa di sentire il Trio Jean Paul (mercoledì prossimo alle 20.30, sempre nel Salone del Conservatorio) che eseguirà Trii di Beethoven, Brahms e Mendelssohn, non possiamo che goderci il ricordo lasciato dal duo Capuçon/Luganskij, con la speranza e l’augurio di vedere il Salone sempre pieno come nell’ultima occasione e, in particolare, così pieno di giovani.

Alessandro Ricobello

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